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Effetti dell’emergenza COVID-19 sull’economia delle regioni

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Stato: novembre 2021

Crollo congiunturale a causa della crisi coronavirus

L’epidemia di coronavirus dichiaratasi a fine 2019 in Cina tiene sotto scacco il mondo intero da quasi due anni. Il virus si è diffuso in tutto il pianeta, costringendo i governi ad adottare misure drastiche. Nemmeno la Svizzera è stata risparmiata: dopo il lockdown deciso nella primavera 2020 e i successivi allenamenti, nell’autunno 2020 si è optato dapprima per un rallentamento (slowdown) per poi imporre un nuovo confinamento di diverse settimane a partire dal gennaio 2021. 

Il primo lockdown (primavera 2020) e il secondo (inverno 2020/21) hanno colpito duramente l’economia svizzera. La disoccupazione è aumentata, le richieste di lavoro ridotto hanno raggiunto un livello record e nel 2020 il prodotto interno lordo ha subito un calo del 2,4 %. Per sostenere l’economia in questo momento difficile sono state varate misure di sostegno per svariati miliardi in forma in forma di crediti transitori, fideiussioni, programmi per i casi di rigore ed estensione dell’indennità per lavoro ridotto.

Uno sguardo all’indice dell’attività economica settimanale pubblicato dalla SECO (indice AES) consente di valutare l’impatto dei provvedimenti adottati per contenere la diffusione del virus sull’economia: dall’andamento dell’indice si può constatare come un lockdown abbia ripercussioni nettamente più forti di tutte le altre misure. L’inizio e la fine dei due lockdown hanno avuto un chiaro effetto sull’indice AES; d’altro canto, l’obbligo esteso del certificato non sembra finora aver compromesso l’attività economica.   

Settore dei servizi particolarmente toccato

È opportuno esaminare più da vicino i settori e i rami d’attività direttamente toccati dalla crisi. Nel settore primario, l’agricoltura dovrebbe riuscire a reggere relativamente bene. L’approvvigionamento di alimenti e di foraggi soddisfa il fabbisogno di base ed è stato solo moderatamente limitato dalle misure adottate dal Consiglio federale. La crisi innescata dal coronavirus ha addirittura avuto effetti positivi sui redditi dell’agricoltura. Si sono però osservati anche effetti negativi, come i costi per l’adozione di piani di protezione o il calo della domanda da parte della ristorazione durante i due lockdown.

L’industria e le attività manifatturiere sono state confrontate a difficoltà maggiori. Nel 2020, nel settore dell’industria meccanica, elettrotecnica e metallurgica (MEM) si è registrato un calo degli ordinativi del 6,5% rispetto al 2019. Poiché tale contrazione ha avuto un impatto sul fatturato, nella sola industria MEM sono andati persi oltre 6000 posti di lavoro. Nell’intero settore secondario la riduzione della cifra d'affari nel 2020 si è attestata al 5,2%. Una delle principali ragioni del forte impatto della crisi sul settore è il forte calo temporaneo della domanda all’estero che si riflette anche nelle cifre relative alle importazioni e alle esportazioni. Nella primavera 2020 il commercio estero ha infatti subito un crollo storico: in aprile 2020 le esportazioni in termini destagionalizzati sono diminuite dell’11,7% rispetto al mese precedente. A subire il calo maggiore sono però state le importazioni, che nell’aprile 2020 hanno fatto segnare un -21,9% in termini destagionalizzati. Su base annuale, nel 2020 le esportazioni sono risultate inferiori del 7% rispetto al 2019 e le importazioni di oltre l’11%. Nel corso del 2021, il commercio estero ha fatto segnare una ripresa. In termini nominali, le esportazioni hanno già superato il livello pre-crisi. Tuttavia, poiché il valore delle importazioni è ancora leggermente inferiore al livello pre-crisi, dal maggio 2021 si registrano eccedenze commerciali record.

La crisi ha lasciato particolarmente il segno anche nel settore dei servizi. Diverse analisi mostrano che la maggior parte dei rami d’attività fortemente colpiti dalla crisi o dalle misure per contenere i contagi rientrano proprio in questo settore. Il motivo è evidente: molti servizi richiedono il contatto personale tra fornitore e cliente e quindi comportano un rischio più elevato. Tra i settori duramente colpiti c’è quello della cultura e degli eventi, che deve fare in conti in particolare con divieti e limitazioni del numero di partecipanti. Anche la ristorazione e i servizi di alloggio hanno subito un duro colpo: oltre alla chiusura dei ristoranti, misure quali le restrizioni degli orari di apertura e le regole di distanziamento hanno ostacolato la gestione redditizia delle attività. Inoltre, per effetto delle restrizioni ai viaggi (p. es. norme sulla quarantena), in Svizzera si è registrato un numero nettamente inferiore di presenze di ospiti stranieri. L’impatto è stato altrettanto devastante nel settore dei viaggi. Infine, hanno subito importanti perdite di fatturato, in particolare durante i due lockdown, anche alcuni segmenti del commercio al dettaglio, come le stazioni di servizio, i negozi di giocattoli o i negozi di abbigliamento, mentre altri hanno guadagnato, come i negozi di alimentari e gli shop online di elettronica. Nel complesso, il commercio al dettaglio ha registrato nel 2020 un aumento della cifra d’affari dello 0,1% (0,8% in termini reali) rispetto al 2019.  

Grazie alla campagna vaccinale avviata su scala internazionale e all’obbligo di certificato introdotto in Svizzera nei primi mesi dell’anno, la situazione nel settore dei servizi ha fatto segnare un miglioramento, tanto che in molti luoghi è stato possibile revocare l’obbligo della mascherina e le misure di distanziamento sociale. Parallelamente, le restrizioni per i viaggi turistici all’estero sono state progressivamente allentate e nell’estate 2021 è stato di nuovo possibile organizzare grandi eventi, per esempio festival di musica. Questo ha contribuito in ampia misura a normalizzare la situazione economica. L’introduzione dell’obbligo del certifi-cato ha tuttavia indotto cali di fatturato in singoli settori, in particolare in quello alberghiero e della ristorazione.

Excursus: grandi differenze nella possibilità di telelavoro

Un recente studio dell’Università di Basilea ha analizzato in che misura gli addetti di un settore possono svolgere il loro lavoro da casa (smart working).

Nei settori in cui l’attività lavorativa comprende compiti prevalentemente amministrativi o creativi la percentuale di collaboratori che possono lavorare almeno in parte da casa raggiunge il 90% (si pensi al settore finanziario e assicurativo o all’informatica). In altri rami dell’economia, invece, questa possibilità non c’è, p. es. nella ristorazione, nel settore alberghiero e nell’edilizia. Questo è dovuto alla grande importanza che il contatto personale o la presenza fisica ricoprono in queste attività. Di conseguenza, le aziende maggiormente in difficoltà a causa dell’emergenza COVID-19 sono soprattutto quelle che possono ricorrere solo marginalmente al telelavoro.

Anche da questo punto di vista si osservano differenze a livello regionale: nelle regioni rurali l’incidenza delle professioni che si prestano meno al telelavoro è maggiore. 

Queste cifre sono relativamente vicine a quelle della stima dell’UST, secondo cui durante i lockdown un po’ meno della metà delle persone con un’attività professionale in Svizzera hanno avuto la possibilità di lavorare da casa. L’UST ha inoltre constatato che questa possi-bilità aumenta in funzione dell’età, del grado di formazione e del reddito degli occupati.

L’impatto della pandemia non è lo stesso ovunque

La pandemia ha messo in difficoltà così tanti settori e catene di valore che, in definitiva, nessuna regione e tipologia territoriale è stata risparmiata. Tuttavia, non tutte le regioni risultano colpite allo stesso modo. Il motivo principale è rappresentato dalle differenze regionali a livello di struttura economica e al fatto che i settori fortemente colpiti hanno un peso economico maggiore in determinate regioni rispetto ad altre. Tuttavia un’analisi sommaria sulla base dei settori colpiti non è sufficiente, dal momento che anche all’interno di un settore specifico vi possono essere differenze regionali per quanto riguarda il grado di vulnerabilità alla crisi. Può quindi succedere che in una regione vi sia una concentrazione di aziende in un ramo industriale particolarmente colpito e in un’altra vi sia una concentrazione in un altro ramo dello stesso settore più resistente alla crisi.

L’importanza della struttura economica per il grado di vulnerabilità alla crisi è evidente se si considera il numero di addetti la cui azienda (stabilimento) ha dovuto chiudere in gennaio 2021 per effetto dell’ordinanza COVID-19.

La cartina mostra che sono soprattutto le regioni di montagna a subire gli effetti dell’ordinanza COVID-19. In queste regioni si registrano infatti percentuali superiori alla media di occupati nei settori in difficoltà legati al turismo (vedi excursus). Naturalmente le ripercussioni della pandemia si estendono ben oltre i settori direttamente interessati dall’ordinanza COVID-19. Tuttavia, la rappresentazione grafica mette in evidenza come la crisi abbia colpito determinate regioni più di altre in ragione della struttura settoriale della loro economia

Come già accennato, un’analisi globale dei settori colpiti non è sufficiente, in quanto vi possono essere differenze regionali all’interno di uno stesso settore. L’esempio del turismo è eloquente. Sebbene la crisi del turismo sia molto grave per le regioni di montagna a causa dell’alta percentuale di occupati nei settori legati alle attività turistiche, il maggior calo in termini di pernottamenti si è registrato nei centri urbani. Nelle città, infatti, vi è tipicamente una quota più elevata di ospiti stranieri, che però, a causa delle restrizioni di viaggio, si è attestata a un livello molto più basso rispetto a prima della pandemia. A questo si aggiunge l’arresto quasi totale del turismo d’affari. Nello stesso tempo, il turismo nelle regioni di montagna ha beneficiato dell’aumento della domanda interna, per il fatto che molti più svizzeri del solito hanno scelto di trascorrere le loro vacanze in patria (vedi excursus).

Il turismo, quindi, non fa eccezione. Anche nell’industria si osservano differenze regionali. Tra gli esempi emblematici vi è quello dell’industria tessile della Svizzera orientale che realizza circa il 70% del fatturato all’estero e ha quindi subito un forte contraccolpo a seguito del calo della domanda internazionale. La crisi ha colpito duramente anche altri settori di esportazione, come l’industria orologiera, mentre altri, quali l’industria farmaceutica, hanno resistito piuttosto bene. Le differenze risultano evidenti anche esaminando il contributo percentuale dei vari settori all’aumento della disoccupazione registrato tra febbraio 2020 e febbraio 2021, che risulta superiore alla media nei Cantoni di Giura, Neuchâtel (industria orologiera e metallurgica) e San Gallo (industria tessile e MEM).

Il grafico mette in evidenza altre differenze regionali, in parte già menzionate: l’elevata vulnerabilità del settore alberghiero in Ticino e in Vallese, l’edilizia in difficoltà nel Cantone dei Grigioni e la crescita superiore alla media della disoccupazione nel settore del commercio nei Cantoni Turgovia e Zugo. Da notare che l’aumento totale dei disoccupati varia considerevolmente in alcuni dei Cantoni menzionati.

Nota: nel grafico si è scelto intenzionalmente di tracciare un confronto tra febbraio 2020 e feb-braio 2021, periodo che illustra bene le differenze regionali menzionate. Dal febbraio 2021 la situazione sul mercato del lavoro è leggermente migliorata e la disoccupazione è diminuita in molti dei settori e dei Cantoni considerati (vedi capitolo dedicato alla disoccupazione). 

Nel complesso di può affermare che tutte le regioni svizzere sono state colpite dalla crisi, alcune più di altre. La vulnerabilità e la resilienza di una specifica regione alla crisi sanitaria dipende quindi, da un lato dalla struttura della sua economia, dall’altro dall’orientamento dei settori di attività presenti. Appare dunque sensato applicare le misure per i casi di rigore in base alla situazione cantonale. 

Excursus: turismo messo a dura prova dalla crisi coronavirus

Nel settore del turismo la crisi ha avuto un grave impatto sul numero dei pernottamenti. Dopo il brusco crollo di marzo e aprile 2020, la situazione è leggermente migliorata nei mesi di maggio e giugno per poi segnare una netta ripresa in luglio: a causa delle restrizioni di viaggio, molti svizzeri hanno infatti scelto di trascorrere le vacanze estive in patria. Di conseguenza, nell'estate 2020 i pernottamenti degli ospiti nazionali si sono attestati a un livello nettamen-te superiore alla media degli anni precedenti. Questo effetto positivo è però lungi dal compensare l’assenza degli ospiti stranieri: a causa della seconda ondata di COVID-19 anche la stagione invernale 2020/21 è stata molto difficile. Per il turismo svizzero, il 2020 è stato uno dei peggiori anni in assoluto

Nemmeno nel 2021 il turismo è riuscito a riprendersi completamente. Soprattutto in primave-ra, i pernottamenti erano ancora significativamente al di sotto dei livelli pre-crisi. In estate sono aumentati leggermente, restando tuttavia al di sotto dei livelli pre-crisi. Questo è dovu-to in primo luogo alla domanda estera ancora bassa, mentre la domanda interna si è attesta-ta al di sopra della media sia nel 2020 che nel 2021.

A beneficiare della domanda interna più sostenuta sono state in particolare le regioni di montagna. Anche in questo caso, però, si osservano delle differenze. Secondo un sondaggio realizzato da HotellerieSuisse, la stagione estiva 2020 è stata migliore di quella del 2019 per il 61% degli esercizi del Canton Grigioni, contro il 32% in Vallese e solo il 14% nell’Oberland bernese. 

A differenza delle regioni di montagna, le città hanno potuto approfittare solo in misura limitata dell’aumento del turismo interno. Nel contempo, gli ospiti stranieri – che hanno un peso importante per il turismo urbano – hanno disertato la Svizzera e il turismo d’affari ha subito una battuta d’arresto. La situazione di grave difficoltà in cui versa il settore del turismo nelle città non è rimasta senza conseguenze: diversi alberghi hanno già dovuto chiudere e si registra un aumento dei licenziamenti.

Per una piena ripresa bisognerà attendere alcuni anni se non alcuni decenni. 

Boom del lavoro ridotto

Nota: non è escluso che nella distribuzione cantonale del lavoro ridotto conteggiato descritta in questo sottocapitolo vi siano errori di attribuzione (possibile fonte di errore: tutte le richieste di un’azienda sono state attribuite a un unico Cantone, anche se l'azienda possiede stabilimenti in altri Cantoni). I dati corrispondono allo stato attuale delle conoscenze, con riserva di modifiche.

Come già evidenziato, le conseguenze della crisi vanno ben oltre i settori direttamente colpiti. Lo dimostrano le richieste di indennità per lavoro ridotto, il cui numero ha raggiunto nella primavera 2020 livelli record, di gran lunga superiori a quelli registrati durante la crisi finanziaria. All’inizio della crisi, poco dopo il primo lockdown, l’indennità per lavoro ridotto è stata chiesta per quasi il 40% degli occupati (circa 2 milioni di addetti) in Svizzera. Il fatto che un’azienda presenti una domanda di lavoro ridotto e che questa venga approvata non significa necessariamente che l’azienda lo introduca effettivamente per i suoi dipendenti. Basta guardare il numero effettivo delle indennità fruite. In aprile il lavoro ridotto è stato introdotto per circa 1,3 milioni di persone, ossia per poco più della metà dei dipendenti per i quali era stata presentata una domanda. In seguito, il loro numero è diminuito costantemente fino a interessare 250 000 dipendenti nel settembre 2020. A titolo di contronto, durante la crisi finanziaria 90 000 addetti avevano usufruito del lavoro ridotto.

Con l’arrivo della seconda ondata pandemica, la pressione sull’economia è cresciuta nuovamente inducendo un maggiore ricorso alle indennità per lavoro ridotto, che nel febbraio 2021 sono state versate a circa 520 000 addetti. Da allora si osservano forti segnali di ripresa e il numero di beneficiari di indennità per lavoro ridotto è diminuito nel corso dell’anno. In luglio le indennità sono state versate a circa 80 000 persone. 

L’analisi per Cantone della percentuale di addetti per i quali in luglio 2021 è stato introdotto il lavoro ridotto evidenzia che Ticino (2,7 %), Ginevra (2.0 %) e Lucerna (2.0 %) sono i Cantoni più colpiti. I motivi sono molteplici. Nel Cantone Ticino ad essere maggiormente interessati dal fenomeno sono i settori dell’industria, del commercio, dell’informatica e l’industria alberghiera e della ristorazione. Nel Cantone di Ginevra, a forte vocazione urbana, sono soprattutto le aziende attive nel settore alberghiero e della ristorazione e nei settori legati al trasporto aereo e ai servizi aeroportuali ad aver fatto ricorso al lavoro ridotto. Il Cantone di Lucerna, tradizionalmente orientato al turismo, risente del crollo delle presenze di ospiti stranieri ed è per questo che anche qui si registra un numero elevato di beneficiari di indennità per lavoro ridotto nel settore alberghiero e della ristorazione. All’altro estremo troviamo i Cantoni di Appenzello Interno (0,4 %), Svitto (0,6 %) e Glarona (0,6 %), dove le aziende non fanno più ricorso alle indennità per lavoro ridotto.

Come già menzionato, in tutti i Cantoni le cifre sono molto lontane da quelle registrate l’anno scorso e si attestano al livello più basso dall’inizio della pandemia.
 

Disoccupazione in leggere aumento

L’evoluzione appena descritta lascia supporre che durante la crisi legata al coronavirus sia aumentata anche la disoccupazione. Se nel gennaio 2020 il tasso di disoccupati si attestava al 2,3 %, in maggio, con lo scoppio della pandemia e il lockdown è passato al 3,4%. Un’evoluzione atipica, visto che dopo l’inattività invernale di diversi settori, p. es. l’edilizia, in questo periodo dell’anno la disoccupazione è solita calare. Nella primavera 2020, si è osservato invece un aumento che ha interessato tutte le regioni del Paese. 

Nell'estate 2020 la situazione è leggermente migliorata per effetto delle variazioni stagionali e della diminuzione dei contagi. Con l’inizio della seconda ondata, la disoccupazione è di nuovo cresciuta fino ad attestarsi al 3,7% nel gennaio 2021, con circa 170 000 persone iscritte negli URC. Da allora, il tasso di disoccupazione è sceso costantemente fino a raggiungere il 2,6 % nel settembre 2021. Il confronto tra questo mese e quello di settembre del 2019 (ultimo settembre prima della crisi con un tasso di disoccupazione del 2,1%) permette di individuare i settori nei quali il numero di persone in disoccupazione resta superiore rispetto a prima della crisi pandemica. 

L’aumento della disoccupazione indotto dalla crisi è stato quindi relativamente contenuto. Grazie in particolare al massiccio ricorso al lavoro ridotto e agli altri aiuti statali è stato possibile, almeno finora, scongiurare un’ondata di licenziamenti e di fallimenti. 

Excursus: impiego dei crediti transitori COVID-19

Per garantirsi una certa liquidità, tra il 26 marzo e il 31 luglio 2020 le aziende più toccate dalla pandemia hanno potuto chiedere alla propria banca l’erogazione di crediti transitori COVID-19 garantiti dalla Confederazione. A inizio dicembre ne erano stati concessi 137 000 per un importo complessivo di 16,9 miliardi di franchi, ossia in media 123 000 franchi per credito e oltre 4000 franchi per equivalente a tempo pieno (FTE). 

Nell’impiego di questi crediti si osservano alcune differenze regionali. Ad esempio, il volume del credito per forza lavoro (misurata in FTE) nella Svizzera latina è tendenzialmente più elevato che nella Svizzera tedesca. In particolare, sorprendono i dati elevati del Ticino, ma anche nella Svizzera tedesca il quadro non è uniforme. Ad esempio, il volume dei crediti per equivalente a tempo pieno nei Cantoni di Zugo e Svitto è sensibilmente più elevato che in quelli di Zurigo o Lucerna.

Oltre ai crediti COVID-19, a fine novembre 2020 è stato lanciato un programma di aiuti per i casi di rigore e per determinati settori sono stati approvati contributi a fondo perduto. 

Se si confronta la disoccupazione di settembre 2021 con i valori di settembre 2019, si con-stata che nella Svizzera romanda l’incremento è stato leggermente più marcato (0,56 punti percentuali) rispetto alla Svizzera tedesca (0,44 punti percentuali). Questa differenza potrebbe essere dovuta alle misure temporaneamente più severe adottate dai Cantoni romandi per contenere la diffusione del virus

Dal confronto tra città e campagna emerge che, rispetto alle aree rurali, le aree urbane hanno subito un contraccolpo maggiore in termini di numero di disoccupati. La crescita più pronunciata del tasso di disoccupazione (0,6 punti percentuali) si osserva nelle grandi città, quella più debole nelle zone rurali (0,3 punti percentuali). 

Le tensioni sul mercato del lavoro dovrebbero continuare ad allentarsi nei prossimi mesi. In certi settori, come quello della ristorazione, si registra addirittura una penuria di manodopera qualificata, il che fa prospettare un ulteriore calo della disoccupazione. Questa situazione è imputabile alla riconversione professionale di una parte dei lavoratori, soprattutto di quelli attivi nei settori fortemente colpiti dalle conseguenze dei lockdown.

Le prospettive sono ottimistiche

L’analisi ha mostrato che tutte le regioni del Paese hanno risentito e risentono tuttora della crisi proprio perché i suoi effetti sono di ampia portata. I settori colpiti direttamente o indirettamente attraverso le catene di creazione del valore sono molti. Tra quelli più in difficoltà figurano la ristorazione, i servizi di alloggio, il settore della cultura e degli eventi, il commercio e l’industria. Attualmente non è possibile prevedere con che rapidità questi settori si riprenderanno.

Non si sa quanto tempo ci vorrà prima che questi settori possano ritrovare i livelli pre-pandemia. Va comunque osservato che non tutte le regioni risultano colpite allo stesso modo. A determinare la portata degli effetti della crisi su una regione sono la struttura economica e l’orientamento dei settori d’attività presenti. Maggiore è l’importanza dei settori colpiti per l'economia regionale, più forti sono le ripercussioni della crisi sulla regione. Va inoltre detto che anche all’interno di singoli settori (p. es. turismo) vi possono essere differenze regionali per quanto riguarda il grado di vulnerabilità alla crisi.

Nel complesso, tuttavia, le conseguenze economiche della pandemia sembrano essere me-no gravi di quanto si temesse inizialmente. L’aumento del tasso di disoccupazione è rimasto circoscritto, non si è verificata la tanto temuta ondata di fallimenti e il numero di occupati che beneficiano dell’indennità per lavoro ridotto è in continuo calo dalla primavera 2021. Questo dimostra che le misure adottate, insieme agli ammortizzatori automatici già collaudati come p. es. l’assicurazione contro la disoccupazione, hanno prodotto il loro effetto consentendo di evitare il peggio.

Grazie al numero crescente di persone vaccinate o guarite in tutto il mondo, si prevede una progressiva normalizzazione della situazione nei prossimi mesi e anni. Questa tendenza si riflette peraltro anche nelle attuali previsioni economiche. Per il 2021 la SECO prevede infatti una crescita del 3,2 % che salirà al 3,4 % nel 2022. Le previsioni del Centro di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo non si scostano di molto da quelle della SECO.

 

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